Tra le numerose opere esposte a Palazzo Altemps, una delle sedi del Museo Nazionale di Romano, vi è il cosiddetto Trono Ludovisi, una delle più alte espressioni d’arte della Magna Grecia.

 

La scoperta

Fu scoperto nel 1887 durante i lavori di lottizzazione di Villa Boncompagni Ludovisi, la celebre residenza costruita nel 1612 dal cardinale Ludovico Ludovisi – nipote di papa Gregorio XV – sul Pincio, a ridosso delle Mura Aureliane (tra Porta Salaria e Porta Pinciana) e divenuta celebre per la straordinaria collezione di antichità, in cui anche questo straordinario pezzo confluì. La villa fu però smantellata definitivamente proprio in quegli anni, ma fortunatamente l’intera collezione fu acquistata dallo Stato per essere poi esposta a Palazzo Altemps.

 

 

 

Il trono Ludovisi

L’opera, un trittico in marmo di Taso, è stata datata al 460-450 a.C. anche se in mancanza di dati certi sul suo ritrovamento, c’è chi ha avanzato persino l’incredibile ipotesi che possa trattarsi di un falso, come suppose Federico Zevi.

Condivisa però è l’interpretazione della raffigurazione sulla fronte, in cui si riconosce la nascita di Afrodite dalla spuma, frutto della caduta in mare dei genitali di Urano, evirato dal figlio Crono. La scena, forse già indicibile all’epoca della realizzazione, è celata da un velo – probabilmente in origine dipinto come un cielo stellato – disteso davanti alla dea ritratta con un chitone leggero che, ancora bagnato, lascia trasparire i seni. E’ sorretta dalle possenti e forti braccia delle Horai, scalze su un lido sassoso, forse Cipro come narrava Omero nell’Odissea.

 

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Nei lati del trittico si riconoscono due fanciulle rappresentate di profilo e sedute su un cuscino: l’una, nuda e con i capelli raccolti nel sakkos, è una flautista e richiama il mondo raffinato delle etère colte; l’altra, una giovane sposa avvolta nel suo mantello che sparge da una pisside grani di incenso su un braciere, è invece la casta custode della casa. Le due fanciulle potrebbero essere dei richiami simbolici ai diversi aspetti di Afrodite (dea della bellezza, dell’amore e della generazione) oppure essere identificate con le hierodulai, sacerdotesse dedite ai riti in onore della dea. 

 

 

Confronti e interpretazioni

La scultura fu subito ricondotta alle produzioni di Locri Epizefiri (oggi vicino a Capo Bruzzano – Calabria, città della Magna Grecia fondata sul Mar Ionio nel VII secolo a.C. da greci provenienti dalla Locride), sia su base stilistica per l’influsso dell’arte ionica e il raro uso nell’Occidente greco del marmo di Taso sia per l’iconografia.

 

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In questa zona infatti sono state scoperte numerose tavolette votive in terracotta, datate al 465-455 a.C., offerte in dono a Persefone, venerata come dea della fertilità, e ad Afrodite, il cui culto a Locri si intreccia e spesso si confonde con quello dell’altra dea.

Secondo alcuni studiosi quindi, il Trono Ludovisi potrebbe appartenere al tempio di Afrodite in località Masarà ed è stato così definito perché ritenuto sedile per una colossale statua della dea; del resto l’assenza del profilo superiore caratteristico dei rilievi architettonici e il suo ottimo stato di conservazione, sembrano svalutare la tesi di una collocazione esterna del monumento.

La presenza delle due figure femminili laterali celebranti il culto di Afrodite e la realtà liturgica che rievocano sono elementi che portano gli studiosi a ritenere che potesse costituire il parapetto del bothros, la fossa ricavata nel pavimento della cella usata come favissa  di arredi preziosi e doni votivi, ma utile soprattutto per la rituale rappresentazione sacra in cui si faceva apparire miracolosamente, grazie ad un elevatore ligneo, un simulacro della dea o una sacerdotessa che ne recitava la parte!

 

 

Il suo ritrovamento a Roma lascia invece supporre che siano stati qui trasportati in seguito alla decadenza di Locri, saccheggiata dalle truppe di Annibale e poi dalle razzie dei romani all’epoca di Scipione l’Africano. Il suo ritrovamento nei terreni di Villa Ludovisi, sorta nella zona che corrispondeva agli antichi Horti Sallustiani, ha favorito l’ipotesi che sia stato reimpiegato nel tempio di Venere Erycina inglobato nella villa che fu di Giulio Cesare, che così avrebbe voluto sottolineare lo stretto rapporto con Afrodite, la Venere romana progenitrice della gens Iulia.

 

 

Per ammirare dal vivo questo meraviglioso capolavoro d’arte antica, non resta che consultare il programma mensile per vedere quando è prevista la prossima visita guidata a Palazzo Altemps!