Sul Celio, si trova una delle basiliche più antiche e straordinarie di tutta Roma: scopriamo insieme tutta la storia della Basilica di Santo Stefano Rotondo!
La Basilica di Santo Stefano Rotondo: le origini
Dedicata al diacono e primo martire Santo Stefano, l’edificio paleocristiano con i suoi tre cerchi concentrici e la forma a croce greca, assomiglia alla Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Verosimilmente la basilica fu edificata da papa Simplicio nel V secolo, adattando un edificio preesistente di epoca romana, ma fu poi ampiamente modificata nel Medioevo. Nella chiesa aveva predicato anche san Gregorio Magno, al quale viene attribuita una cattedra che tuttora è qui conservata, un sedile in marmo di epoca romana, dal quale vennero eliminati nel XIII secolo la spalliera ed i braccioli.
Nella vita della basilica furono poi di importanza particolare gli interventi effettuati per volere di papa Nicola V, che dopo l’esilio di Avignone, lavorò per ristabilire la gloria e la bellezza dell’intera città di Roma: verrà incaricato dei lavori l’architetto e scultore fiorentino Bernardo Rossellino. La cura della chiesa venne poi affidata all’ordine paolino ungherese: tra il 1454 e il 1580, il convento accanto all’edificio divenne la casa romana dell’ordine dei paolini e luogo di sepoltura dei monaci.
Gli affreschi del Pomarancio e del Tempesta
Nel 1580 fu costruito al centro dell’aula un recinto ottagonale a stucco, decorato da Antonio Tempesta con le Storie di Santo Stefano, la Strage degli Innocenti e la Madonna dei Sette Dolori. E’ in questi anni che si iniziò poi a lavorare alla decorazione interna ad affresco con il Pomarancio. Insieme a Matteo da Siena che si occupò delle prospettive, l’artista realizzò 34 scene raccapriccianti del martirio di innumerevoli santi.
Gli affreschi ben riflettono lo spirito della Controriforma per l’esaltazione del martirio e il terrore delle punizioni inflitte: sono infatti qui presentati tutti i tipi di martirio inflitti ai primi cristiani. Dal supplizio di Sant’Agata, a cui le tenaglie dilaniano il petto, alla lapidazione del primo martire della storia (Santo Stefano appunto), fino alla “pena forte e dura“ – lo schiacciamento in tutte le sue più crude forme – le pareti della Basilica presentano un susseguirsi continuo di santi e martiri divorati da belve feroci, affogati, bolliti, bruciati, accecati, storpiati e martoriati in ogni modo possibile. Le scene così crude svolgevano in un certo senso come lezione didattica, avevano infatti lo scopo di avvertire i giovani sacerdoti che sarebbero andati in paesi lontani per convertire la popolazione al cristianesimo sui pericoli che avrebbero potuto incontrare.
Il mosaico nella Cappella dei Ss. Primo e Feliciano
Tra le altre particolarità della Basilica merita poi una particolare menzione il mosaico nel catino della cappella dei SS. Primo e Feliciano, interessantissimo per la storia dell’iconografia del Cristo. L’opera, realizzata nel VII secolo, raffigura i due santi in tunica che circondano il Cristo benedicente, non crocifisso ma rappresentato in un medaglione sovrastante la croce ornata di pietre.
- Cappella
- Mosaico
Una figura simbolica abbastanza rara, collegata alla primitiva tradizione iconografica del cristianesimo che evitava rappresentazioni troppo crude: un curioso e forte contrasto con i realistici affreschi del Tempesta e del Pomarancio!
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