Tra i gioielli storici e artistici del Rione Sant’Angelo, merita una particolare menzione la Chiesa di Santa Caterina dei Funari che rievoca ancora oggi nel nome i fabbricanti di funi che esercitavano il loro mestiere in questa parte della città.
La storia della Chiesa e della Compagnia delle Vergini Miserabili Pericolanti
La chiesa, attestata per la prima volta in una bolla di papa Celestino III del 1192, era nota con il nome di Santa Maria Dominae Rosae o Sancta Maria in castro aureo, perché si riteneva sorgesse sulle rovine del Circo Flaminio detto, appunto, Castrum Aureum.
Nel 1534 papa Paolo III Farnese concesse la chiesa a Ignazio di Loyola che qui fondò il Conservatorio di Santa Caterina della Rosa, conosciuto anche come “Compagnia delle Vergini Miserabili Pericolanti”. L’origine del conservatorio va attribuita, infatti, alla pia intenzione di Sant’Ignazio e di altri devoti uomini, molti dei quali erano nobili e ricchi spagnoli, di mettere al sicuro e salvare dal pericolo, cui erano esposte, le figlie di cortigiane e di donne di malcostume che potevano cadere, prima o poi, vittime della “corruzione”.
Nel 1560, quando la Compagnia assunse forma stabile come Confraternita, Sant’Ignazio suggerì al cardinale Federico Cesi di ricostruire la chiesa incaricando dei lavori Guidetto Guidetti, allievo di Michelangelo e cambiò anche la dedica a Santa Caterina d’Alessandria.
Curiosità. Fu qui che, dal 3 al 7 dicembre 1572, venne esposta la salma del cardinale Ippolito II d’Este, patrono dell’ospizio delle “ragazze pericolanti”.
Facciata e interni della chiesa
La chiesa assunse una pianta abbastanza severa, a navata unica con paraste lungo il perimetro, affiancata da tre cappelle semicircolari per parte, un presbiterio di forma rettangolare strutturato come una cappella ed una copertura a volta.
La singolare facciata in travertino, con evidenti richiami a modelli rinascimentali, fu realizzata dal Guidetti a due ordini di paraste con un portale racchiuso tra colonne ed è simile a quella della Chiesa di Santo Spirito in Sassia, da cui si distingue per il risalto della parte centrale e per la maggiore ricchezza dell’ornato.
Curioso ed interessante è il coevo e singolare campanile, derivante da una torre preesistente, ben visibile da Piazza Lovatelli.
I capolavori artistici: Annibale Carracci, Girolamo Munziano e Federico Zuccari
E’ però al suo interno che la chiesa mostra tutto il suo splendore grazie alle numerose opere d’arte presenti, tra cui merita particolare menzione la pala d’altare con Santa Margherita di Annibale Carracci nella Cappella Bombasi.
Per espresso volere del committente, il letterato reggiano Gabriele Bombasi (precettore di Ranuccio ed Odoardo Farnese), la Santa Margherita della sua cappella riproduce – con lievi varianti – la Santa Caterina di Alessandria che compare nella pala d’altare nota come Madonna di San Luca, realizzata sempre dal Carracci nel 1592 per la Cattedrale di Reggio Emilia (oggi al Museo del Louvre).
La carica innovativa del dipinto fu percepita immediatamente, non appena il quadro fu esposto. Sull’evento, scriverà più tardi, nel 1672, lo storico Giovanni Pietro Bellori:
“Collocato il quadro sull’altare per la novità vi concorsero i pittori e fra’ vari discorsi loro, Michel Angelo da Caravaggio, dopo essersi fermato lungamente a riguardarlo, si rivolse e disse: “Mi rallegro che al mio tempo veggo pure un pittore”.
Tra le altre meraviglie artistiche, vi sono certamente da menzionare la pala d’altare con la Deposizione di Girolamo Muziano ed il ciclo di affreschi con le Storie di Santa Caterina di Federico Zuccari nella Cappella Cesi.
La storia moderna del Complesso
La storia del complesso cambiò radicalmente in epoca moderna, quando nel 1940 l’annesso e retrostante convento fu demolito con l’idea di ricostruirlo, anche se ciò non avvenne. Il complesso infatti rimase a lungo in stato di degrado ed abbandono, finché non furono effettuati gli importanti scavi archeologici che riportarono alla luce la Crypta Balbi, oggi una delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano.
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