Il pittore fiammingo Pieter Paul Rubens, precursore di alcuni tratti caratteristici dell’arte barocca, è presente a Galleria Corsini con una straordinaria tela, il San Sebastiano curato dagli Angeli.

 

Storia della tela

Acquistata a Bruxelles dal cardinale Neri Maria Corsini e pagata oltre 300 scudi, l’opera è stata per lungo tempo incollata su una tavola dalla quale è stata liberata solo negli anni ‘70 del secolo scorso. Ricordata per la prima volta nell’inventario dei beni nel palazzo della Lungaretta, redatto nel 1750, è citata nei successivi cataloghi fino al 1883, quando la residenza e l’intera collezione d’arte furono donate da Tommaso Corsini allo Stato Italiano. 

 

Rubens e l’Italia

Si è lungamente discusso sulla datazione dell’opera, da collocarsi molto probabilmente durante il suo primo soggiorno romano nel 1602 o pochi anni dopo il suo ritorno in città, nel 1606-1608. Mosso dall’intento di approfondire le proprie conoscenze artistiche, Rubens infatti partì nel 1600 per l’Italia.

 

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Si stabilì inizialmente a Venezia, dove ebbe modo di studiare i capolavori di Tiziano, Tintoretto e Veronese e poi si spostò a Mantova, dove entrò in contatto con il duca Vincenzo I Gonzaga che lo volle con sé come pittore di corte, qui rimanendo ben otto anni!

 

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Rubens

 

E proprio dal duca fu inviato a Roma con il compito di replicare alcuni dipinti e per l’artista fu l’occasione di entrare in contatto con il cardinale Scipione Borghese, potendo così studiare ed ammirare da vicino Michelangelo Buonarroti, Raffaello Sanzio e l’arte antica.

 

San Sebastiano nell’arte

Siamo appunto nei primi anni del Seicento e qui realizzò il celebre dipinto in cui decide di rappresentare Sebastiano, comandante dell’esercito romano convertito al cristianesimo all’epoca dell’imperatore Diocleziano e per questo perseguitato: legato a un palo – o a un albero – fu trafitto dalle frecce e poi abbandonato dai soldati ancora agonizzante.

Nella Passio di Arnobio il Giovane del V secolo e nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine del XIII secolo, si narra di come il santo sia stato salvato da sant’Irene, una nobildonna romana che lo curò impietosita. Sebastiano però fu condotto nuovamente al cospetto dell’imperatore che ordinò di farlo flagellare a morte e che il cadavere venisse gettato nella fogna cittadina, la Cloaca Maxima, affinché non potesse essere sepolto. 

 

Il San Sebastiano di Rubens

Nel dipinto di Rubens però Sebastiano, poi martirizzato tramite flagellazione, è rappresentato mentre viene soccorso dagli angeli, al centro della scena, ormai quasi completamente libero dalle corde e dalle frecce, mentre sulla sinistra una stupenda armatura poggiata sul terreno ne ricorda la carriera militare. L’equilibrio della composizione, i rimandi alla classicità dell’antica Roma e la tavolozza dai toni caldi, oltre ai vivaci svolazzi dei panneggi, sono alcuni degli elementi più caratteristici del periodo italiano dell’artista fiammingo. Le linee morbide del corpo nudo, la bellezza delle forme sinuose richiamano gli studi di Michelangelo, mentre le tonalità cromatiche chiare su uno sfondo più scuro richiamano i canoni del classicismo e del manierismo fiammingo.

Questa variante della narrazione, di origine popolare, trova probabilmente fonti figurative nella tradizione artistica del nord, mentre in quella italiana precedente, l’apparizione dell’angelo – comunque rara – motiva soltanto la consegna dei simboli del martirio, la palma o la corona.

 

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Gli angeli soccorritori

Certamente il motivo iconografico degli angeli soccorritori ebbe grande seguito sia in Italia che nelle Fiandre durante il Seicento: ne sono prova la tela di Giulio Cesare Procaccini conservata presso il Museo Reale di Bruxelles di inizio secolo e quella di Peter Paul Thijs in collezione privata del 1650 circa.

Interessanti sono inoltre le due copie del San Sebastiano della Galleria Corsini, ritenute entrambe di alta qualità: l’una nella collezione Litwin di Wichita (Kansas) e l’altra nel Museo Rubenshuis di Anversa (precedentemente di proprietà Schoeppler). Entrambe le copie hanno delle varianti, diverse tra loro, che sembrano corrispondere ad alcuni pentimenti della tela Corsini, ossia elementi figurativi sottostanti il dipinto, coperti dall’artista ma ancora visibili in radiografia.

 

 

Nel dipinto del Rubenshuis non compaiono i due angeli a destra, ma è raffigurato un ramo che nella radiografia della tela Corsini si intravede subito sopra la testa dell’angelo raffigurato più in basso. L’opera nel museo belga, quindi, potrebbe essere una copia autografa dello stadio iniziale della versione italiana, modificata da Rubens qualche anno più tardi.

Al contrario, la tela Litwin mostra le due figure aggiunte nel dipinto Corsini, ma l’angelo in alto ha il braccio destro alzato, così come nella radiografia della tela romana, successivamente coperto dal drappo bianco.

Le due successive versioni sembrano attestare fasi pittoriche differenti: la tela del Rubenshuis rispecchia senza dubbio l’idea originaria, mentre la copia Litwin documenta una fase successiva, nella quale Rubens aggiunse i due angeli, ma che poi mutò ulteriormente nella definitiva realizzazione Corsini.

Datare con certezza queste modifiche, e di conseguenza le copie, è ancora una questione aperta. Ma tutto ciò non distoglie il nostro sguardo dall’ammirare un capolavoro assoluto della storia dell’arte!