Nato ad Urbino nel 1483, Raffaello fu iniziato all’arte dal padre pittore Giovanni Santi, anche se fondamentale per la sua formazione artistica fu il sistematico apprendistato nella bottega del Perugino. Qui Raffaello ebbe infatti modo di riscoprire, attraverso le raffinate variazioni del maestro, la rigorosa articolazione spaziale e il monumentale ordine compositivo derivati da Piero della Francesca. E’ a questo periodo (1502-1503) che risalgono la realizzazione della celebre Pala Oddi – custodita oggi nella Pinacoteca dei Musei Vaticani – e lo Sposalizio della Vergine per la Chiesa di San Francesco a Città di Castello, ma oggi conservato a Milano nella Pinacoteca di Brera.
Nell’autunno del 1504 Raffaello si trasferì a Firenze e per quattro anni, pur mantenendo saldi i contatti con gli ambienti da cui proveniva, si dedicò a studiare e ad aggiornare il proprio linguaggio sugli esempi di Leonardo, Michelangelo e fra Bartolomeo. Al termine di questo percorso, il rigoroso impianto spaziale delle opere giovanili si trasformò in una nuova naturalezza di ritmi e di colori: le immagini sacre, idealizzate, a cui molto si dedicò, raggiunsero un supremo equilibrio teso verso un’assoluta perfezione formale.
Raffaello a Roma
Un anno però di fondamentale importanza nella vita di Raffaello fu il 1508, quando cioè giunse a Roma dove, insieme ad altri artisti, iniziò a lavorare per Giulio II della Rovere alla decorazione delle stanze del nuovo appartamento papale. Ben presto però il papa, entusiasta delle prime prove del pittore, gli affidò l’esecuzione dell’intera impresa che di fatto lo occupò fino alla morte. E’ a Raffaello infatti che si devono le straordinarie esecuzioni della Sala della Segnatura, dell’Incendio di Borgo e di Eliodoro.
Fu invece completata da Giulio Romano la Sala di Costantino, quarta e ultima Stanza dell’appartamento papale, realizzata ormai sotto il pontificato di Clemente VII. Raffaello infatti morì nel 1520, prima cioè di veder conclusi i lavori completati solo ne 1524.
Raffaello tra Sibille, Profeti e Villa Farnesina
In contemporanea però Raffaello si impegnò anche in altre importanti committenze, come per esempio il Profeta Isaia nella Chiesa di Sant’Agostino e le celebri Sibille in Santa Maria della Pace, opere ispirate alle imponenti figure di Michelangelo nella Cappella Sistina (vieni a visitare la Chiesa insieme a noi per ammirarle dal vivo: controlla qui quando). A partire dal 1514, la sua attività fu soprattutto assorbita dai lavori di architettura, dagli studi sull’antichità e dalla creazione di un nuovo tipo di decorazione a fresco e a stucco, ispirato a esempi antichi, come quelli scoperti nella Domus Aurea di Nerone. E a questo periodo si devono la decorazione delle Logge Vaticane e quella della Loggia di Amore e Psiche a Villa Farnesina per Agostino Chigi.
Raffaello architetto
Nominato poi capo della Fabbrica di San Pietro alla morte del Bramante, Raffaello progettò per la basilica la trasformazione della pianta centrale bramantesca in pianta basilicale. Come architetto si dedicò inoltre a Villa Madama, il cui progetto originale – solo in parte realizzato e in tempi successivi – rivela in pieno la genialità dell’idea raffaellesca, anticipatrice di soluzioni architettoniche del tardo Cinquecento.
Gli ultimi anni di Raffaello
Tra le ultime opere realizzate dall’Urbinate, vi sono certamente l’incantevole Fornarina oggi alla Galleria Barberini e l’imponente Trasfigurazione oggi alla Pinacoteca Vaticana, entrambe datate tra il 1518 e il 1520.
Raffaello infatti morì giovane, ad appena 37 anni, il 6 Aprile del 1520, nel giorno del suo stesso compleanno, sembra a causa di una febbre molto alta che il Vasari attribuì agli “eccessi amorosi” dell’artista. La sua scomparsa fu salutata dal commosso cordoglio dell’intera corte pontificia; il suo corpo fu sepolto nel Pantheon, come egli stesso aveva richiesto.
Qui, ancora oggi, è possibile ben riconoscere la sua tomba grazie al sentito e commosso epitaffio che così recita:
“Qui giace Raffaello, dal quale la natura temette mentre era vivo di essere vinta; ma ora che è morto teme di morire”.