Tra i grandi capolavori esposti a Palazzo Barberini, vi è anche il celebre ritratto della Fornarina realizzato da Raffaello Sanzio nel 1520.
Raffaello e la Fornarina
Lui è uno dei più grandi artisti del Rinascimento: nato ad Urbino nel 1483, allievo del Perugino e amico del Pinturicchio, dopo aver compiuto viaggi tra Firenze e Siena, si trasferì a Roma, dove realizzò i suoi più grandi capolavori per volere di papa Giulio II e di papa Leone X. Lei è Margherita Luti, una giovane di origine senese, figlia di Francesco Luti, fornaio a Roma (da cui il soprannome di “Fornarina”), talmente bella che appena Raffaello la vide ne rimane folgorato! Diventerà sua amante e musa ispiratrice, tanto che la si può verosimilmente riconoscere anche come modella per la Velata di Palazzo Pitti.
La storia dell’opera
Il quadro, che apparteneva già agli Sforza di Santafiora – primi proprietari del palazzo – fu poi acquistato dai Barberini dove è menzionato negli inventari della loro collezione almeno a partire dal 1642. Non si hanno invece notizie su chi fosse il committente dell’opera e ciò potrebbe avvalorare l’ipotesi, assai romantica, secondo cui Raffaello abbia deciso di dipingerla per sé, negli ultimi anni della sua vita, conservando poi la tavola nel proprio studio fino alla morte, avvenuta in realtà non molto dopo.
Analisi dell’opera
L’opera racchiude tutti i principi raggiunti da Raffaello nel campo della ritrattistica: da un ideale di aristocratica superiorità spirituale a un senso di presenza immediata e fortemente reale. Il ritratto risulta infatti assolutamente impregnato di carnalità e sospensione, realtà terrena e carattere sfuggente, superiorità e condiscendenza. Anche perché dietro alla nostra fanciulla, dal volto quasi imperfetto e dai tratti marcati, ma messa ancora più in risalto dallo sfondo scuro costituito da un folto cespuglio di mirto, si nasconde una rappresentazione della dea Venere, l’amore che eleva gli spiriti alla ricerca della verità attraverso l’idea sublimata della bellezza.
La posa delle mani, una adagiata nel grembo, l’altra sul seno, segue inoltre il modello della Venere pudica della statuaria classica: un gesto di pudore che, tuttavia, orienta lo sguardo dell’osservatore proprio su ciò che si vorrebbe nascondere. Simboli e rimandi alla dea dell’amore sono inoltre lo stesso cespuglio di mirto (sacro alla dea, che lo usò per coprire le proprie parti nude quando approdò sulla spiaggia di Citera) e il ramo di melo cotogno (già emblema di Afrodite), simbolo di buon auspicio e fertilità.
Il volto è regolare con grandi occhi scuri, la bocca piuttosto carnosa e le gote leggermente arrossate. Straordinari i dettagli del turbante di seta dorata a righe verdi e azzurre annodato tra i neri capelli e della spilla composta di due pietre incastonate con perla pendente, non insolito nella moda dell’epoca. La perla, presente sia nella Fornarina che nella Velata, potrebbe inoltre apparire come un gentile omaggio alla bella fanciulla, rimandando infatti al suo stesso nome: Margherita deriva infatti dal termine greco margaritès che significa proprio “perla, gemma”.
E parlando di gioielli, impossibile non notare immediatamente il prezioso bracciale blu e oro indossato sul braccio sinistro in cui si legge chiaramente: Raphael Urbinas. Semplice firma dell’autore o pegno di vincolo amoroso?
L’idillio amoroso
La storia dell’arte, soprattutto nell’Ottocento durante i periodi del Romanticismo e del Neoclassicismo, ha spesso fatto volare la propria fantasia immaginando l’idillio amoroso tra Raffaello e la Fornarina, i due giovani eternamente innamorati. Una storia d’amore affascinante che oscilla tra realtà e leggenda: i protagonisti sono realmente vissuti e la Fornarina fu di certo musa di Raffaello in alcuni suoi dipinti, ma non è purtroppo dimostrabile in modo inconfutabile che tra i due ragazzi sia realmente sbocciato un tenero sentimento. Ma a chi piace pensarla così questa storia?