Tra le meraviglie presenti lungo l’elegante via Giulia, vi è un piccolo ma straordinario gioiello artistico: Sant’Eligio degli Orefici.
L’Università degli Orefici ed Argentieri
La sua storia inizia nel 1509 quando l’Università degli Orefici ed Argentieri si stabilì in una casetta cinquecentesca lungo il “vicolo che si dice strada nuova che conduce a piazza Padella”, promuovendo poi la costruzione di una piccola chiesa dedicata al collega e patrono Sant’Eligio, secondo quanto concesso da papa Giulio II Della Rovere.
L’Università degli Orefici, Ferrari e Sellari (VI Corporazione), aveva sede presso la Chiesa di San Salvatore alle Coppelle eretta nel 1196 sotto il pontificato di Celestino III. Nel 1404 le tre Arti si separarono dando origine ciascuna ad un’autonoma confraternita, continuando però a condividere la sede e il santo protettore, Sant’Eligio Vescovo di Noyon. Vissuto nel VI secolo, fu orefice e maestro di zecca, poi consigliere dei sovrani merovingi fino a divenire Vescovo di Noyon; fu assunto a protettore degli orafi oltre che per la sua alta professionalità e onestà, per aver fondato alcuni conventi in cui il lavoro manuale, e in particolare modo le tecniche legate all’oreficeria e all’argenteria, venivano studiate, applicate con maestria e diffuse nel mondo cattolico.
Agli albori del XVI secolo gli Orafi – fino all’ora inseriti nelle artes mechanichae, la casta più bassa dei mestieri – vollero realizzare il proprio sogno, quello di fondare una confraternita completamente autonoma per inserirsi nell’olimpo degli artisti. Lo sforzo politico, economico e organizzativo per la realizzazione del progetto si deve ad un gruppo di quarantadue orafi che nel 1509 trasformò il sogno in realtà.
La Chiesa di Sant’Eligio
Le guide di Roma, fin dal XVIII secolo, attribuivano al Bramante la paternità dell’opera, ma in seguito si iniziò a formulare l’ipotesi che il progetto della chiesa fosse in realtà di Raffaello, e quindi una delle sue prime opere romane.
Nel 1522 sappiamo che l’edificio risultava già avviato nella sua costruzione anche se i lavori veri e propri si conclusero solo nel 1575 grazie al contributo di Baldassarre Peruzzi e Aristotele da Sangallo.
Nel 1601, a causa delle alluvioni e di alcuni problemi statici da tempo riscontrati, si verificò un pesante crollo che portò alla distruzione della facciata, prontamente ricostruita da Flaminio Ponzio, architetto di fiducia di papa Paolo V, che riedificò il prospetto secondo l’impostazione di Raffaello.
Le opere d’arte della chiesa
L’interno della chiesa è particolarmente suggestivo poiché presenta una spazialità raccolta ed armoniosa, impostata su una planimetria a croce greca e cupola emisferica.
Gli affreschi dell’abside sono i più antichi della chiesa e risalgono circa al 1575: al centro, dietro l’altare maggiore, si riconoscono la Madonna con Gesù tra i santi Eligio vescovo, Stefano, Giovanni e Lorenzo opera di Matteo da Lecce, artista noto anche per aver lavorato nell’Oratorio del Gonfalone intorno agli anni 1575 e 1576).
Nel catino invece è raffigurato Dio Padre sorreggente il Cristo in Croce; sugli stipiti i Profeti, in alto gli Apostoli Disputanti e nel sottarco la Pentecoste, tutti affreschi attribuiti a Taddeo Zuccari o ad esponenti della scuola dei due fratelli.
Importanti anche i due altari laterali impreziositi dai raffinati affreschi realizzati tra la fine del 1500 e la metà del 1600 a più mani: l’uno con l’Adorazione dei Magi e le Sibille di Giovan Francesco Romanelli, l’altro con l’Adorazione dei Pastori di Giovanni de Vecchi e le Sibille nuovamente del Romanelli.
Elegante e assai prezioso il busto di Sant’Eligio in argento appositamente realizzato nel 1628 per contenere la reliquia del santo donata alla chiesa il 25 Giugno dello stesso anno dal vescovo di Noyon.
Curiosa è anche la storia del pavimento, originariamente in cotto “arrotato tagliato con astrico sotto”, che fu sostituito nel 1864 con quello attuale composto con lastre di marmo bianco e bardiglio recuperate dalla Basilica di San Paolo fuori le Mura, pesantemente danneggiata (e in gran parte distrutta) dall’incendio scoppiato nella notte del 15 Luglio 1823.
La fondazione dell’Università e la consacrazione della Chiesa segnarono un importante duplice punto di arrivo e di partenza per gli orafi romani, sottolineando il definitivo distacco dalle Congregazioni dei metalli vili e l’inizio della qualificazione artistica del proprio mestiere.
L’Università degli Orefici in epoca moderna
A capo dell’Università degli Orefici venivano posti un Camerlengo e tre Consoli, il cui compito primario era quello di controllare il mercato orafo: imperava, infatti, il divieto assoluto di esercitare l’arte orafa o di aprire una bottega senza l’autorizzazione della Corporazione che, dopo un attento esame rilasciava una licenza detta “Patente”.
Nel 1738, grazie a papa Clemente XII Corsini, il sodalizio assunse il nome di Nobil Collegio degli Orefici ed Argentieri di Roma, nel 1873 divenne Consorzio degli Orefici ed Argentieri Capi d’Arte di Roma, mentre nel 1971 assume definitivamente il ruolo culturale ormai consolidato negli anni trasformandosi con decreto del Presidente della Repubblica in Università e Nobil Collegio degli Orafi Gioiellieri Argentieri dell’Alma Città di Roma.
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