Potremmo quasi affermare che gli antichi romani non si dedicassero particolarmente alle attività lavorative (schiavi a parte ovviamente!), dato che la giornata lavorativa media durava 6-7 ore, finendo quindi poco dopo l’ora di pranzo: pertanto il tempo libero a disposizione era veramente molto. Fortuna vuole che il calendario delle festività fosse particolarmente ricco perché ai dies festi, vale a dire i giorni consacrati agli dei, si aggiunsero molte feriae publicae, celebrazioni di ricorrenze pubbliche promulgate a partire da Ottaviano Augusto in poi. Ogni imperatore infatti celebrava le proprie feste in occasione del proprio compleanno, per l’anniversario dell’ascesa al trono o di una vittoria e così via. In pratica quindi nell’Urbe si arrivò ad avere per ogni giorno lavorativo, quasi due di festa!
Celebrazioni religiose, banchetti pubblici e grandiosi spettacoli
Per questi grandi festeggiamenti, erano previste celebrazioni religiose, banchetti pubblici e ovviamente grandiosi spettacoli, preceduti spesso da processioni e sacrifici svolti alla presenza di un grande pubblico. La classe dirigente romana considerava infatti suo compito primario quello di distribuire alimenti una volta al mese al popolo e di distrarlo e regolare il suo tempo libero con spettacoli gratuiti offerti appunto nelle festività religiose o in ricorrenze laiche.
Ma non tutti concordavano con questa visione, anzi, molti furono gli autori latini che criticarono proprio questa diffusa tradizione. Giovenale per esempio (alla fine del I secolo d.C.) rimpiangeva la sobrietà e la severità repubblicana, sostenendo che ormai il popolo aspirasse solo al “panem et circenses” (al pane e agli spettacoli); mentre Frontone, nel II secolo d.C., descriveva sconsolato la stessa triste ed identica realtà: “il popolo romano ormai si preoccupa soprattutto solo di due cose, le vettovaglie e gli spettacoli”. Ma quali spettacoli e dove si svolgevano queste tanto contestate attività?
I 3 teatri in muratura di Roma
I ludi (cioè i giochi) si svolgevano all’interno di appositi edifici che potevano essere di tre tipologie differenti: scaenici (rappresentazioni teatrali), circenses (che si svolgevano cioè nel circo) e munera gladiatoria (combattimenti tra gladiatori). I primi si svolgevano nei teatri e Roma ne aveva ben tre: il più antico era il Teatro di Pompeo, oggi scomparso; il Teatro di Balbo, inaugurato nel 13 a.C. e di cui oggi rimangono pochi resti in parte visibili nel Museo della Crypta Balbi ed infine il Teatro di Marcello, l’unico ad essere giunto intatto fino ai nostri giorni, iniziato da Giulio Cesare ed inaugurato da Ottaviano Augusto che lo dedicò all’amato nipote. Nei teatri, oltre alla messa in scena di rappresentazioni con attori (solo maschi ovviamente!), si organizzavano anche spettacoli di danza e il tanto amato mimo, sotto forma di imitazione teatrale della vita quotidiana e dei suoi aspetti più grotteschi, accompagnata da musica!
I Ludi Circenses
Tra gli spettacoli più amati dal popolo vi erano i ludi circenses e cioè le corse dei cavalli nei circhi. Anche qui al plurale perché in città, durante i secoli, ve ne furono molti! Il Circo Massimo fu l’edificio per spettacoli pubblici più grandioso ad essere mai stato costruito: lungo più di 600 metri e largo 125 metri, aveva ben 125.000 posti a sedere che con la ristrutturazione di Traiano nel II secolo d.C. divennero 250.000! Non vanno però dimenticati gli altri: il Circo Flaminio scomparso già dopo pochi secoli; il Circo di Caligola e Nerone, su cui venne edificata la Basilica di San Pietro; quelli ad uso personale degli imperatori, come il Circo Variano nel Palazzo dei Severi (alle spalle oggi alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme) e il Circo di Massenzio sull’Appia Antica.
Il più celebre anfiteatro di Roma: il Colosseo
Vero è che quando si parla di divertimento nell’antica Roma, l’edificio simbolo è certamente l’Anfiteatro, vera e propria invenzione architettonica romana! Qui si svolgevano i tanto amati munera gladiatoria, i combattimenti tra gladiatori, ma anche le venationes, violente cacce tra animali (selvatici e non) e perfino le esecuzioni e i supplizi pubblici! Il più celebre anfiteatro di Roma è il Colosseo, voluto dalla dinastia dei Flavi. Ma in città vi era anche l’Anfiteatro Castrense, voluto dai Severi per il loro Palazzo e quindi ad uso personale e non aperto al pubblico.
Lo Stadio di Domiziano
Domiziano fece costruire invece lo Stadio – oggi al di sotto di piazza Navona – appositamente per lo svolgimento delle competizioni ginniche (pancrazio, lotta, pugilato, corsa, lancio del giavellotto, del disco e del peso) e delle Olimpiadi, esattamente alla maniera greca. Gli atleti – che gareggiavano nudi – dopo aver svolto la propria competizione fisica, si spostavano nel vicino Odeon (anche questo voluto dall’imperatore) per concorrere in gare “intellettuali” (musica, poesia, arte oratoria, ecc.). Neanche a dirlo, molte furono le voci contrarie come per esempio quella di Tacito che si chiedeva: “Che cosa manca oggi (ai giovani) se non mostrarsi nudi, prendere il cesto dei pugili e pensare a quei combattimenti, invece che al servizio militare?”
Le Terme Romane
Un altro luogo di “divertimento” – e non solo – erano certamente le terme, anche perché oltre ad essere aperte sia agli uomini che alle donne, erano spesso ad ingresso gratuito! Numerosi furono gli impianti realizzati a Roma durante il corso dei secoli: le più antiche furono quelle di Agrippa, alle spalle del Pantheon; poi le Terme di Nerone e quelle di Tito nel I secolo d.C.; poi quelle di Traiano sul Colle Oppio e di Lucio Licinio Sura sull’Aventino nel II secolo d.C., a cui seguirono le più celebri di tutte, quelle di Caracalla e di Diocleziano ( III sec. d.C. e inizio del IV sec.), le due più imponenti mai realizzate nell’Urbe; mentre le ultime ad essere state costruite in città, furono le terme di Costantino sul Quirinale.
Quanto i romani amassero le terme ben lo chiarifica la frase pronunciata da un liberto di Claudio: “balnea vina venus corrumpunt corpora nostra sed vitam faciunt” e cioè “i bagni, il vino e l’amore corrompono i nostri corpi, ma fanno (bella) la vita!”
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