Passeggiando per Testaccio, impossibile è non notare Monte Testaccio, quella collinetta artificiale posta proprio nel cuore del rione, conosciuta popolarmente anche come Monte dei Cocci. Alto 54 metri e con una circonferenza di circa 1 chilometro, il monte deve il proprio soprannome alle testae, i cocci cioè che lo formano.
Si tratta infatti prevalentemente di frammenti di anfore usate per il trasporto delle merci, che venivano sistematicamente scaricate e accumulate dopo essere state svuotate nel vicino porto fluviale, l’Emporium, lungo il Tevere. Secondo gli ultimi studi, questa attività di scarico venne portata avanti dal I secolo d.C. fino almeno alla metà del III secolo d.C.
Le anfore del Monte dei Cocci
Le innumerevoli anfore, non essendo smaltate al loro interno, non potevano essere riutilizzate come contenitori per generi alimentari. Quelle quindi che non venivano riciclate come materiale di costruzione, venivano ordinatamente smantellate e poi accatastate in un enorme cumulo che nel corso dei secoli si è andato ad innalzare talmente tanto da divenire una vera e propria collinetta.
Osservando le ceramiche qui accumulate, si è notato che la maggior parte dei contenitori presenti erano anfore olearie provenienti dalla Betica (attuale Andalusia), non riutilizzabili a causa della rapida alterazione dei residui di olio che rimanevano al loro interno. Il problema dello smaltimento rapido ed economico delle anfore, nel rispetto delle norme igieniche dell’epoca, fu risolto con la creazione di questa vera e propria discarica.
Qui i frammenti furono accatastati con la massima economia di spazio e con la sola disposizione di calce che, destinata ad eliminare gli inconvenienti causati dalla decomposizione dell’olio, ha rappresentato anche un ottimo elemento di coesione e di stabilità per il monte attraverso il tempo, giungendo quindi intatto fino ai nostri giorni.
Per poter meglio accatastare così tanto materiale di scarico, i romani costruirono una rampa e due stradine in modo da poter salire sempre più in alto con i carri ricolmi di cocci e di anfore frammentarie. Gli archeologi, studiando questo numeroso materiale, hanno notato che molte anfore presentavano il marchio di fabbrica impresso sulle anse; su altre invece si notano i tituli picti, e cioè delle scritte a pennello o a calamo con preziose informazioni, come per esempio il nome dell’esportatore, indicazioni sul contenuto, i controlli eseguiti durante il viaggio e ancora la data consolare!
Il Monte dei Cocci dal Medioevo ad oggi
Cessata la funzione di vera e propria discarica, il Monte Testaccio dal periodo medievale iniziò ad assumere un ruolo completamente diverso nella storia cittadina. E’ qui infatti che si svolgevano molte manifestazioni popolari, come per esempio gli antichi giochi pubblici detti ludus Testacie – una sorta di corrida – o ancora le celebrazioni ottocentesche a tutti note come “ottobrate romane”, feste che chiudevano la vendemmia, una forma di svago ed evasione per nobili e popolo, ufficialmente divisi, ma spesso mescolati nella più sfrenata allegria, alimentata dalla voglia di vivere e dal buon vino ovviamente!