Tra i meravigliosi capolavori esposti a Galleria Colonna, vi è anche il celebre Mangiafagioli di Annibale Carracci realizzato tra 1584 e 1585.
Le scene di genere di Annibale Carracci
L’artista in gioventù si dedicò più volte alle scene di genere, come ben dimostra, oltre al capolavoro preso in esame – verosimilmente il dipinto più noto eseguito dal maestro bolognese – anche l’opera intitolata Bottega del Macellaio (Grande macelleria) del 1585 conservata presso la Christ Church Gallery di Oxford o alle molte versioni di Ragazzo che beve (tra cui quella per esempio custodita negli Stati Uniti al The Cleveland Museum of Art).
Il Mangiafagioli: analisi
Nel Mangiafagioli possiamo riconoscere un uomo, probabilmente un contadino, seduto al tavolo di una locanda, ritratto mentre porta alla bocca un cucchiaio pieno di fagioli. Indossa un ampio cappello di paglia e una camicia bianca con pesante gilet. L’espressione del viso, che sembra alzarsi di scatto, è quella di un uomo sorpreso dalla comparsa di un osservatore inaspettato che lo lascia a bocca aperta e con il braccio sollevato, mentre dal cucchiaio cadono alcune gocce di brodo e, con un gesto istintivo, copre la pagnotta posta sul tavolo.
Qui il cibo è disposto ordinatamente al di sopra di una tovaglia immacolata: al centro, la ciotola di fagioli; a sinistra alcuni cipollotti, una pagnotta, un piatto con della focaccia e un coltello; a destra, la pagnotta coperta dalla mano, un boccale ed un calice con del vino.
Le opere affini di altri artisti
Affinità stilistiche sono riscontrabili in opere di altri pittori a lui contemporanei quali Macelleria, Allegra Compagnia e Villano che suona il liuto di Bartolomeo Passarotti – maestro di Annibale Carracci – o ancora Pescivendoli e Mangiatori di Ricotta di Vincenzo Campi. Tutte tele in cui il soggetto ritratto, solitamente un popolano, osserva di fronte a sé consapevole di essere osservato, come nel nostro Mangiafagioli, anche se qui è presente un maggior naturalismo.
Rispetto alle altre opere menzionate infatti, in Carracci è del tutto assente ogni deformazione grottesca e triviale che invece è quasi esasperata nei protagonisti delle scene di osteria del Passarotti e del Campi, talvolta persino non prive di allusioni sessuali.
Il Mangiafagioli di Annibale, invece, restituisce una scena di vita quotidiana come appariva nella realtà, quel tipo di realtà che oggi chiameremmo istantanea fotografica. Ritornare ad ispirarsi alla realtà, per Annibale, era dunque un modo di superare l’artificiosità del Manierismo.
Insieme al fratello Agostino e al cugino Ludovico, intrapresero a Bologna un percorso di allontanamento dallo stile dell’imitazione rinascimentale, ponendo fine a quell’esperienza espressiva e creando la celebre “Accademia degli Incamminati”.
Furono artisti con una buona padronanza del mestiere tale da consentire loro di spaziare sulle tecniche pittoriche, ma anche sui generi e i soggetti, divenendo assai vari e prolifici. E fu forse proprio nei ritratti che Annibale mise in evidenza tutto il suo talento innovativo.
Il Mangiafagioli: dalla realizzazione alla collezione
Il primo dato certo relativo ai Mangiafagioli è del 1679 e ne attesta l’appartenenza al cardinale Lazzaro Pallavicini: nel suo inventario infatti sono documentate molte opere di pittori bolognesi che si presume abbia acquistato tra il 1670 e 1673 quando si trovava a Bologna con l’incarico di Legato Pontificio. Ipotesi generalmente accettata, quindi, è che anche il Mangiafagioli sia stato acquistato a Bologna proprio in quel periodo e dai suoi successori poi ceduto ai Colonna.
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