Tra le divinità più antiche venerate a Roma merita certamente una particolare menzione Vesta, figlia di Saturno e Opi, sorella maggiore di Giove, assimilabile quindi alla Estia greca, dea del focolare domestico.
Il culto di Vesta
Furono i Sabini ad introdurre a Roma il culto di Vesta, già onorata ad Albalonga, e di Quirino che fu associato a Romolo. Alcuni autori hanno supposto che la trasformazione del nome Estia in Vesta derivasse inoltre dall’associazione Venus-Estia, legati in Vestia (V-Estia) ed infine in Vesta.
L’istituzione del culto del fuoco e la creazione delle Vestali, il gruppo di vergini sacre a sua custodia, si deve verosimilmente a Romolo o a Numa Pompilio, secondo re di Roma. Tito Livio, nel raccontare il mito di fondazione della città, presenta infatti Rea Silvia – madre di Romolo e Remo – come una vestale di Albalonga, lasciando intendere quindi che il suo culto fosse già praticato.
Le Vestali furono quindi probabilmente trasposte a Roma da Numa Pompilio, che era infatti sabino, subito dopo i Flamini (ossia “coloro che accendevano il fuoco sull’ara dei sacrifici”), e prima dei Salii (collegio sacerdotale la cui prerogativa era scandire il passaggio da tempo militare a tempo civile e viceversa) e dei Pontefici.
E’ poi Ovidio ad indicarci come il suo culto venisse praticato:
“Per lungo tempo credetti stoltamente che ci fossero statue di Vesta, ma poi appresi che sotto la curva cupola non ci sono affatto statue. Un fuoco sempre vivo si cela in quel tempio e Vesta non ha nessuna effige, come non ne ha neppure il fuoco”.
Il Tempio di Vesta nel Foro
A quale “curva cupola” si riferisce? Al tempio di Vesta presente in città fin dalle origini dato che fu innalzato ai piedi del Palatino già all’epoca di Numa Pompilio venendo poi più volte ricostruito nei secoli a causa dei numerosi incendi e infine restaurato, nelle forme visibili ancora oggi, dall’imperatrice Giulia Domna verso la fine del II secolo d.C.
Dal podio circolare in opera cementizia rivestito in marmo, si innalzavano colonne con capitelli corinzi. L’interno accoglieva il braciere con il fuoco sacro, che non doveva mai spegnersi, poiché simbolo dell’eternità di Roma e del suo destino di impero universale.
La forma circolare era forse ispirata a quella delle capanne di epoca arcaica, con un foro al centro del tetto conico per far uscire il fumo.
L’ingresso al tempio era vietato agli uomini, con l’eccezione del Pontefice Massimo, a cui però era interdetto l’accesso al sancta santorum, in cui era gelosamente custodito il Palladio, un piccolo simulacro di Atena-Minerva, portato a Roma, secondo la leggenda, da Enea e simbolo della nobiltà della stirpe romana.
La Casa delle Vestali
Chi infatti si occupava del culto di Vesta e della sorveglianza del fuoco sacro erano le Vestali, unico sacerdozio femminile di Roma, che vivevano per questo in un’apposita casa accanto al tempio. L’ingresso alla Casa delle Vestali, noto anche con il nome di Atrium Vestae, è affiancato da una edicola con alto basamento e due colonne ioniche, probabilmente destinata ad ospitare la statua della Dea.
L’edificio si incentra su un ampio cortile con tre vasche circondato da un portico a due piani impreziosito da statue che rappresentavano le Vestali Massime, poste a capo dell’ordine religioso. Sul cortile-giardino si apriva una serie di stanze disposte su più piani: in quello inferiore, tra i vari ambienti, è possibile riconoscere anche un mulino e un forno; quello superiore, probabilmente ad uso privato, comprendeva anche bagni e impianti di riscaldamento ed era sovrastato da un ulteriore piano forse destinato al personale di servizio.
L’edificio, la cui fondazione fu certamente di epoca repubblicana, esattamente come il tempio, fu più volte ricostruito e ampliato durante il corso dei secoli almeno fino al IV secolo d.C., all’epoca dell’imperatore Costantino.
Come si diventava una Vestale?
Si veniva sorteggiate tra venti bambine, tra i 6 e i 10 anni, appartenenti a famiglie patrizie; sempre presenti in numero di sei, dovevano osservare il loro servizio per trent’anni, conservando la verginità, pena la morte. La consacrazione al culto avveniva tramite il rito della captio virginis, ovvero “la cattura della vergine”, una cerimonia in cui il Pontefice Massimo nominava una nuova Vestale, con rigidi criteri fisici, giuridici e morali nella scelta.
Il Pontefice Massimo prendeva per mano la fanciulla e pronunciava parole rituali, poi esponeva alla ragazza i suoi doveri e i privilegi del nuovo status. A partire da quel momento, la Vestale lasciava la patria potestas e andava ad abitare nella Casa ai piedi del Palatino. Rivestita dell’abito sacerdotale bianco, le si tagliavano i capelli (una sola volta), simbolo di sacrificio, che venivano appesi ad un albero, l’antico loto crinito.
Il sacerdozio dicevamo durava trent’anni: nei primi dieci erano novizie, nei secondi dieci erano addette al culto, mentre gli ultimi dieci anni erano dedicati all’istruzione delle novizie; concluso il periodo di servizio, potevano sposarsi. Anche se la loro giornata tipo si svolgeva principalmente tra Casa e tempio, potevano uscire liberamente e godevano molti privilegi, diritti e onori civili.
Mantenute a spese dello Stato, disponevano di posti riservati negli spettacoli, potevano chiedere la grazia per il condannato a morte che avessero incontrato casualmente, venivano sepolte dentro il pomerio, perché anche le loro ceneri erano sacre ed erano le uniche donne romane che potevano fare testamento, custodi a loro volta, grazie all’inviolabilità del tempio e della loro persona, di testamenti e trattati!
Ma in caso di spegnimento del fuoco sacro e di relazioni sessuali, venivano punite con la morte. Non potendo però venire uccise da mani umane, in quanto sacre, le colpevoli venivano frustate, vestite di abiti funebri e portate in una lettiga chiusa, come un cadavere, al Campus Sceleratum, presso la Porta Collina (una delle porte nelle Mure Serviane da cui uscivano la via Salaria e Nomentana). Là venivano lasciate in una sepoltura con una lampada e una piccola provvista di pane, acqua, latte e olio; il sepolcro veniva chiuso e la loro memoria era così cancellata. Non andava di certo meglio al loro amante, dato che veniva fustigato fino alla morte!
Il loro servizio fu sempre considerato di vitale importanza per la città di Roma, motivo per il quale fu mantenuto attivo fino al IV secolo d.C. fino a quando il cristianesimo divenne la nuova religione ufficiale di stato: l’ultima Vestale Massima di cui si ha notizia fu Celia Concordia nel 384 d.C. A partire dal 391 d.C. inoltre, Teodosio I proibì qualunque culto pagano e il sacro fuoco nel tempio di Vesta venne definitivamente spento, decretando così anche la fine dell’ordine delle Vestali.