Lungo l’Appia Antica, precisamente al IV miglio, vi è il complesso di Capo di Bove situato a pochi metri di distanza dall’imponente Mausoleo di Cecilia Metella, in un’area acquistata nel 2002 dalla Soprintendenza Archeologica di Roma e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Dopo la messa in sicurezza, sono iniziati gli scavi archeologici grazie ai quali è stato possibile mettere in luce l’intera sua storia.
Le terme romane
All’epoca romana risale il grande impianto termale datato alla metà del II secolo d.C. e rimasto in uso fino al IV secolo, di cui oggi sono ancora ben visibili numerosi ambienti con pavimentazioni a mosaico ed in marmo colorato, vasche idrauliche e tubuli in terracotta per il riscaldamento. La struttura era con ogni probabilità privata, ad uso di una villa o di un gruppo di persone facenti capo a una corporazione o collegium che frequentava la zona.
L’ingresso principale dell’impianto termale doveva probabilmente aprirsi, in forme monumentali, lungo la via Appia: da qui si accedeva prima agli spogliatoi, di cui si conservano le pavimentazioni a mosaico con disegno geometrico bianco e nero, e poi agli ambienti del calidarium (bagno caldo), tepidarium (bagno caldo) e frigidarium (bagno freddo). L’itinerario, percorso anche a ritroso, poteva essere arricchito con una sosta nella sudatio, dove era possibile farsi massaggiare il corpo, oppure completato da una rigenerante sauna nel laconicum.
All’approvvigionamento idrico contribuivano due grandi cisterne, mentre lo smaltimento delle acque avveniva attraverso un complesso ed ingegnoso impianto fognario di cui lo scavo archeologico ha portato in luce alcuni tratti perfettamente conservati. Assai divertente fu per gli archeologi il ritrovamento di oggetti molto piccoli che era facile smarrire durante una giornata alle terme come per esempio un dado da gioco, una spatola in bronzo per il trucco, aghi in osso per le acconciature e numerose monete.
Ben più seria invece la messa in luce di una lastra di marmo (riusata nella pavimentazione) con iscrizione a caratteri greci, menzionante Anna Regilla, moglie di Erode Attico (secondo la formula “luce della casa”), a suggerire che l’impianto termale potesse essere pertinente alla vasta tenuta agricola che il precettore di Marco Aurelio e Lucio Vero possedeva nella zona.
La storia del complesso dopo l’epoca romana
Con la caduta dell’impero, l’area entrò a far parte del Patrimonium Appiae Suburbanum di proprietà ecclesiastica per lo sfruttamento agricolo del territorio: gli scavi infatti hanno evidenziato tracce di lavorazione agricola-produttiva. La tenuta fu poi acquistata nel 1302 dal cardinale Francesco Caetani, nipote di papa Bonifacio VIII, lo stesso che costruì il castrum addossato al Mausoleo di Cecilia Metella, di cui fa anche parte la chiesetta di San Nicola. Ed è proprio alle decorazioni con festoni di fiori, frutta e teste di bue che ornano il fregio sulla sommità del mausoleo che si deve il nome dell’intera area: Capo di Bove appunto!
Nel 1660 il complesso risulta censito nel Catasto Alessandrino come proprietà dell’Ospedale del Ss. Salvatore ad Sancta Sanctorum che dal 1709 lo concesse in enfiteusi perpetua a Pietro de’ Vecchi. Nel Catasto Pio Gregoriano di inizio 1800 risulta invece di proprietà del Monastero di San Paolo fuori le Mura, salvo poi divenire possedimento privato dal 1870.
L’edificio principale dell’area fu costruito proprio al di sopra di una delle due cisterne romane che rifornivano di acqua le terme ed era conosciuto già nel Medioevo come fortilizio con torre e casale a difesa della vigna e dei vivai.
Trasformato nel secondo dopoguerra in residenza di lusso con prospetto impreziosito da materiali antichi (romani e medievali come mattoni, sarcofagi, transenne intrecciate, ecc.), è divenuto dal 2008 sede dell’Archivio e della Biblioteca di Antonio Cederna, padre del movimento ambientalista in Italia, che tanto si è battuto per la tutela della Via Appia Antica.
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