Abituati alle comodità e certezze del XXI secolo, mai avremmo immaginato di trovarci nuovamente a dover affrontare una pandemia come quella che, proprio in questi giorni, sta colpendo l’Italia e il resto del mondo. Ma a guardar bene la storia, le epidemie e la peste che colpirono Roma furono molte. Non vi è nulla di poi così nuovo, purtroppo.
Molte infatti furono le epidemie scoppiate a Roma nel corso dei secoli e anzi è possibile affermare che l’Urbe abbia quasi acquisito una solida esperienza in materia, tanto da esserne sempre uscita in maniera vittoriosa!
La peste Antonina
La prima grave piaga (documentata con fonti storiche e non solo leggendarie) che segnò la tranquilla vita cittadina si ebbe in epoca romana, quando nel II secolo d.C. (tra 165 e 180 d.C.) scoppiò la terribile Peste Antonina, così chiamata dal nome dell’imperatore allora in carica, Marco Aurelio (membro appunto della famiglia Antonina).
Il nome di peste però trae un po’ in inganno: pestis in latino era sinonimo di distruzione, rovina, epidemia e veniva attribuito ad ogni tipo di pandemia o pestilenza. Giunta a Roma dall’esercito di ritorno dalle campagne militari contro i Parti (antica Persia), è anche ricordata come Peste Galenica, dal medico che la studiò e la descrisse, asserendo che si trattava di un morbo associabile al vaiolo o al morbillo visto che provocava febbre, diarrea, infiammazione della faringe, eruzioni cutanee secche o in forma di pustole.
Il primo diffondersi della malattia provocò un elevato numero di vittime, fra cui alcune molto illustri, come l’imperatore Lucio Vero, che probabilmente la contrasse nel 169 d.C. Ancora peggiore però fu la seconda ondata che arrivò nove anni dopo, quando si giunse a toccare punte di 2.000 morti al giorno nella sola città di Roma!
La peste nera del 1300
n epoca medievale terribile fu il flagello che colpì l’Urbe nel 1348: la famigerata Peste Nera proveniente dal nord della Cina e diffusasi in Europa tramite Siria, Turchia e Grecia, salvo poi scomparire misteriosamente qualche anno dopo, intorno al 1353, dopo però aver causato la morte di almeno un terzo della popolazione del Vecchio Continente.
Oltre alle devastanti conseguenze demografiche, la peste nera ebbe un forte impatto nella società del tempo, influenzando anche la cultura: Giovanni Boccaccio utilizzò come narratori nel suo Decameron dei giovani fiorentini che erano fuggiti dalla città appestata; in pittura, il soggetto della “danza macabra” fu un tema ricorrente delle rappresentazioni artistiche del secolo successivo.
Terminata questa grande epidemia, la peste in realtà continuò a flagellare la popolazione europea, seppur con minor intensità, a cadenza quasi regolare nei secoli successivi.
La peste del 1600
L’episodio però forse meglio documentato, fu quello che colpì la città (per l’ultima volta) nel 1656 all’epoca di papa Alessandro VII Chigi. Questa volta il flagello venne da Ovest, passando dalla Sardegna al Regno di Napoli, dove uccise fino a 2.000 persone al giorno, diffondendosi (per una sottovalutazione dei primi focolai) a Civitavecchia e a Nettuno. Si racconta per esempio che un marinaio partenopeo sia morto all’ospedale del SS. Salvatore al Laterano per “aver praticato a Ripagrande con qualche compatrioto già infetto”, permettendo così contagi che si diffusero soprattutto tra Trastevere e Ghetto. Scese in campo persino il papa, che agì con molta determinazione per contenere il contagio: “promulgò un giubileo universale, non imponendo già (secondo il costume) o processioni, o visitazioni di poche determinate basiliche, affine di non accumular quivi gente: né iterati digiuni, per non disporre i corpi al malore col men salutifero pasto…”.
Alessandro VII ordinò inoltre la chiusura dei tribunali, dei collegi e, più in generale, di tutti i luoghi di assembramento, chiese e cappelle comprese; case e quartieri contagiati vennero posti in quarantena. Il papa inoltre creò una Congregazione della Sanità, addetta ad organizzare lazzaretti per il ricovero dei malati sospetti o conclamati. Fu così che nel 1657 si riuscì a debellare il terribile flagello: la pestilenza durò in tutto nove mesi e il computo dei morti in città fu di oltre quindicimila persone.
L’epidemia di colora del 1800
Ma non tutte le epidemie smisero di investire Roma. A partire dagli anni venti (e per tutti gli anni trenta) dell’Ottocento, in varie parti d’Italia e d’Europa, scoppiarono grossi focolai di colera.
Inizialmente Roma sembrò immune al punto che persino il poeta Giuseppe Gioacchino Belli decise di farsi beffe di chi in città temeva l’arrivo del morbo, così scrivendo nel sonetto del 1835:
Bbasta, o sse chiami còllera o ccollèra,
io sce ggiuco la testa s’un baiocco
che sta pidemeria sarvo me tocco,
cqua da noi nun ce viè, sippuro è vvera.
Nun zentite l’editto? che cchi spera
ne la Madon de mezz’agosto è un sciocco
si nn’ha ppavura? E cce vò ddunque un gnocco,
sor Marchionne, a accorasse in sta maggnera.
Disce: ma a Nninza fa ppiazza pulita.
Seggno che cqueli matti mmaledetti
nun ze sanno avé ccura de la vita.
S’invesce de cordoni e llazzaretti
se sfrustassino er culo ar Caravita,
poteríano bbruscià ppuro li letti.
Ma ecco che nel Luglio del 1837 il colera giunse a Roma, esplodendo in città anche perché agevolata dalla scarsa igiene generale, dalle debolezze dell’organizzazione sanitaria e dall’arretratezza delle conoscenze mediche. Tra i metodi di cura maggiormente prescritti, vi era infatti la somministrazione dell’oppio e dell’ossido di zinco, oltre al salasso con le sanguisughe! Fortuna vuole che all’inizio di Novembre l’epidemia finì, ma i morti furono ben 7.000.
L’influenza spagnola del 1900
Nuovi focolai di colera si riproposero ancora ciclicamente per tutto l’Ottocento, con cadenza quasi decennale, ma mai più in maniera così violenta. Ultima piaga storica fu la ben nota Influenza Spagnola che scoppiò nel 1918 andando a colpire un mondo ancora in guerra. Si ritiene che forse sia stato infettato un terzo della popolazione mondiale e che più di 20 milioni di persone ne siano morte, di cui circa cinquecentomila in Italia, ma sono stime molto approssimative, comprese quelle che riguardano la sola città di Roma.
Nel giro di pochi mesi, la spagnola, così come era accaduto per altre pandemie, finì per diminuire la propria forza e già all’inizio del 1919 il male sembrò essere stato ormai contenuto, per poi sparire definitivamente nel corso del 1920.