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Divinazione e superstizione
Gli antichi romani erano un popolo molto superstizioso a tutti i livelli: si dice ad esempio che l’imperatore Augusto non muovesse un passo senza prima aver consultato tutti gli auspici necessari. Questo spiega, ad esempio, l’uso molto frequente di amuleti contro il malocchio, quasi sempre recanti simboli sessuali, in particolari fallici. Questo perché gli organi genitali richiamavano la procreazione e quindi la fecondità e più in generale l’abbondanza, la miglior arma contro le azioni maligne. Inoltre questi oggetti, spesso sonagli detti tintinnabuli, avevano lo scopo di distrarre lo iettatore, facendo così cadere le male intenzioni.
Se quindi questi amuleti apotropaici erano così diffusi, voleva dire che molte dovevano essere le persone che viceversa ricorrevano all’uso del malocchio e delle fatture! Vi erano infatti dei maghi specializzati in lancio di anatemi di vario tipo: il più diffuso era la defixio. Veniva scritta la maledizione sopra delle piccole e sottili lastre in metallo, che una volta ripiegate su se stesse, venivano trafitte con dei piccoli chiodi e riposte in appositi contenitori in piombo. Era così possibile nascondere questi oggetti all’interno di cavità come grotte, fonti o tombe, dove i defunti o gli dei preposti, potevano scatenare l’anatema contro il mal capitato.
Anche la divinazione era molto in uso a Roma: esisteva una potente casta sacerdotale, conosciuta come gli àuguri, con il compito di interpretare il volo degli uccelli. Altri sacerdoti molto in auge in antichità, anch’essi di derivazione etrusca, erano gli aruspici, capaci di leggere le interiora degli animali sacrificati.
I “piaceri” della vita
Tra i piaceri della vita gli antichi romani annoveravano senza dubbio il sesso. Se i matrimoni erano considerati dei contratti per la procreazione, la passione e il soddisfacimento sessuale lo si cercava in concubine e amanti o nella prostituzione (per le donne però avere un amante non era solo proibito ma anche molto pericoloso, poteva andarne della propria vita!). La prostituzione nell’antica Roma, sia femminile che in minor percentuale anche maschile, era legalizzata e prevedeva il rilascio da parte delle autorità competenti di una licentia stupri. Le fanciulle, spesso giovanissime, si riunivano solitamente sotto un Leno o Lena, cioè un protettore, che procurava i clienti e permetteva la prestazione all’interno della propria locanda o bordello, detto lupanare (le prostitute erano comunemente chiamate “lupe”). Come ancora oggi, oltre alle prostitute comuni, che vivevano una vita misera e breve, vi erano quelle di alto bordo, dette cortigiane: donne molto colte e raffinate che spesso accompagnavano i più illustri personaggi del tempo, compresi gli imperatori, e potevano accumulare enormi ricchezze.
Anche il cibo e il buon vino erano piaceri a cui i Romani difficilmente rinunciavano! Se in epoca arcaica la morigeratezza era comune anche a tavola, dalla tarda Repubblica in poi, grazie alle importazioni di nuovi prodotti dalle province dell’impero, i banchetti divennero momenti fondamentali di socializzazione ma anche di lustro per il proprio casato. Ovviamente solo una piccola percentuale di Romani aveva la possibilità di permettersi cibi come carne, pesce, spezie, frutta esotica: la restante parte si nutriva soprattutto di prodotti derivanti dalla farina di grano o di farro e di verdure. Anche il vino era venduto in abbondanza nelle numerose locande dell’epoca: era più che altro una sorta di mosto che veniva filtrato con un colino e arricchito con miele e spezie. Un bicchiere di vino costava spesso quanto la prestazione di una prostituta!
Per gli strati sociali più elevati un piacere della vita divenne anche la moda: la toga per gli uomini e la palla per le donne, furono capi di abbigliamento irrinunciabili, anche perché erano il segno distintivo dell’appartenenza a Roma! I cittadini romani erano obbligati infatti, in determinate occasioni e nei luoghi pubblici, ad indossare, sopra una o più tuniche, la toga che, a seconda del colore, identificava la carica pubblica o religiosa oppure un momento particolare della vita. Le matrone invece, sopra la tunica, indossavano questo ampio mantello che poteva coprire anche la nuca, solitamente adornata con capigliature dalle più semplici di epoca repubblicana, alle più complesse dei secoli successivi.
I “problemi” della vita
Non solo gioie ma anche dolori contraddistinguevano la vita dei nostri antenati: alcuni purtroppo ancora molto attuali, come ad esempio il traffico. Essendo Roma una vera e propria metropoli, con oltre un milione di abitanti, è facile immaginare che fosse molto chiassosa e caotica e che in alcuni quartieri, così come in alcune ore del giorno, il caos fosse davvero insostenibile! Ecco allora che Giulio Cesare decise di emanare una legge per regolamentare il transito dei carri, creando formalmente la prima ZTL della storia!
Ma non solo. Anche il decoro urbano era un serio problema per le città dell’impero: a Pompei sono stati ritrovati numerosi graffiti murari, a testimonianza che gli atti vandalici sono nati insieme all’uomo! Se è vero che queste scritte deturparono allora come oggi la città, è anche vero che sono state per gli studiosi una miniera inesauribile di conoscenza, soprattutto degli strati più bassi della popolazione. Si poté infatti capire quali etnie coabitavano in città, qual era il grado di istruzione, i fatti di cronaca più importanti, le tifoserie dei gladiatori o degli aurighi, l’amore e le passioni, ecc.
Ma forse tra i problemi principali, oggi per fortuna quasi del tutto scongiurati, vi erano gli incendi, talmente tanto frequenti che portarono Augusto a fondare, nel 6 a.C., il corpo dei vigili urbani, con il compito non solo di monitorare la sicurezza delle strade di notte, ma soprattutto di intervenire in caso di fuoco. Ricordiamo infatti che la maggior parte delle abitazioni prevedevano parti in legno, nessun impianto idrico e l’illuminazione, così come il riscaldamento, erano affidati a fiamme libere.
Le abitazioni, escluse le domus, non avevano i servizi igienici, per cui altro annoso problema era quello dello smaltimento dei rifiuti organici, oltre che di quelli non organici. Sebbene infatti Roma sin dal VI sec. a.C. avesse una straordinaria rete di fognature, le cloache, non riuscì mai del tutto a garantire la pulizia della città. Vi erano varie discariche nei dintorni dell’Urbe, ma spesso troppo scomode da raggiungere e inefficaci per una popolazione sempre in aumento e molto variegata.
Roma però era dotata di un gran numero di latrine pubbliche: bagni in comune che, come ricordano alcuni autori antichi, potevano divenire dei veri e propri incubi! Si narra infatti che non era raro incontrare qualche conoscente pronto a lamentarsi o a farsi invitare a pranzo mentre si cercava di espletare le proprie necessità, così come qualche bambino in vena di scherzi, era pronto a far schizzare l’acqua sporca in faccia ai presenti!
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