Tutti noi conosciamo, almeno a grandi linee, il mondo dell’antica Roma. Cerchiamo allora di scoprire insieme qualche curiosità più insolita che ci permetta di trovare differenze e similitudini con i nostri antenati!
Il potere del “Pater Familias”
Come riporta Cicerone, è “[…] nella prole, e quindi nell’unità della casa e nella comunanza di tutti i beni […] il primo principio della città e, direi quasi, il semenzaio dello Stato”. Dunque la famiglia è alla base della società romana e a capo della famiglia vi è il Pater Familias, l’uomo che ha potere di vita e di morte su tutti gli altri membri, almeno in epoca più arcaica.
Con il passare dei secoli infatti, lo strapotere di questa figura viene meno, a vantaggio dei diritti della donna e della prole. Resta comunque tra le sue facoltà, l’infame pratica di poter abbandonare i figli indesiderati – soprattutto se malati o femmine – in una delle discariche presenti in città; così come quella di ripudiare la moglie e di poter avere più di una concubina nella sua casa. Non dimentichiamo inoltre che gli strati più alti della società romana annoverano tra i propri possedimenti anche gli schiavi, equiparati ad animali e ad oggetti, e privi di ogni dignità umana. Oltre a queste figure all’interno della dimora del Pater Familias potevano trovarsi anche i cosiddetti clienti, persone che vivevano nel raggio di influenza del loro protettore e che per esso lavoravano a vario titolo.
Il matrimonio
Il matrimonio era un contratto tra due famiglie, che decidevano in questo modo di unire parte dei loro beni. Scopo ultimo di questa unione, per la maggior parte dei casi combinata, era la procreazione di una discendenza legittima. Le fanciulle venivano date in sposa in età giovanissima, spesso senza aspettare il primo menarca. Gli uomini erano di solito molto più grandi di loro.
Nel mondo romano vi erano due tipi di matrimonio: quello cum manu, dove cioè la donna passava da essere proprietà del padre o del proprio tutore ad essere proprietà del marito; quello sine manu (molto più frequente in epoca imperiale), in cui la proprietà della donna rimaneva al tutore – spesso scelto proprio dalla donna – lasciandole così maggiore libertà, soprattutto in caso di divorzio (in epoca più tarda fu concesso anche alle donne, soprattutto di rango elevato, di poter richiedere il divorzio).
Prima delle nozze vi era l’usanza di celebrare il fidanzamento, in cui le due parti si scambiavano le promesse davanti a testimoni e veniva regalato alla ragazza un anello da indossare all’anulare sinistro. Il giorno delle nozze vere e proprie invece era possibile suggellare l’unione tramite diversi riti, il più frequente dei quali prevedeva il sacrificio di un animale e la lettura delle interiora da parte dell’aruspice; l’unione delle due mani destre – come ancora oggi – e la frase pronunciata dalla sposa: “Ubi tu Gaius, Ego Gaia” (Dove tu sei Gaio, io sono Gaia). Subito dopo, un corteo festoso accompagnava la giovane nella sua nuova casa, dove ad aspettarla c’era il marito, per consumare così la prima “notte di nozze”.
I figli
Scopo ultimo del matrimonio era la procreazione e quindi compito della donna era dare alla luce figli sani e possibilmente maschi. Il momento del parto era ovviamente molto traumatico al tempo, data anche l’età giovanissima delle ragazze, che avevano spesso solo 12/13 anni. Dopo aver rivolto le preghiere alla dea Lucina, un’ostetrica aiutava le madri nel parto, che solitamente avveniva sedute su una sedia detta gestatoria. Appena nato il bambino veniva lavato e fasciato e venivano rivolte preghiere di ringraziamento agli dei.
Al nono giorni di vita ai maschietti veniva posto al collo un amuleto contro il malocchio di nome bulla, mentre alla femminuccia uno a forma di luna, detto lunula. Queste collane avrebbero accompagnato la vita dei bambini fino al raggiungimento dell’età adulta. Fino ai 7 anni i bambini vivevano sotto l’ala protettiva della madre (o del personale di servizio), dopo di che potevano iniziare ad avere un’istruzione o con precettori privati (spesso schiavi o liberti) o in scuole “pubbliche”, dove i maestri, spesso a suon di botte, insegnavano a leggere, scrivere e far di conto. Il magister non era un mestiere rispettato e la paga era davvero molto misera!
Abitare a Roma
Roma in epoca imperiale sembra avesse oltre un milione di abitanti, la maggior parte dei quali vivevano all’interno delle insulae, caseggiati in affitto, che potevano raggiungere anche i 5 piani di altezza. Solo un numero esiguo di persone viveva all’interno delle domus, le case di proprietà dell’élite romana. Inoltre, alcuni personaggi illustri del tempo, possedevano anche altre proprietà come le ville e gli horti.
Le prime potevano essere sia urbane e cioè costruite a poca distanza dalla città ed utilizzate soprattutto per lo svago e l’otium; quelle rustiche erano invece delle vere e proprie aziende agricole, gestite da un villano e in cui lavoravano schiavi e servi tutto l’anno. Gli horti invece erano del lussuosi giardini, solitamente realizzati nelle periferie cittadine, in luoghi alti e verdeggianti, dove si trovano varie specie di piante, anche esotiche, sapientemente curate, oltre ovviamente a viali, statue, fontane e ambienti in cui i proprietari spesso conservavano le loro collezioni artistiche.
Nelle abitazioni romane, soprattutto in quelle di una certa ricchezza, non era insolito trovare alcuni oggetti particolari di arredamento, come busti della classe politica dominante; calchi in cera o in gesso dei propri cari defunti; statuette dei Lari, le divinità protettrici della casa, all’interno di un apposito altare costruito solitamente nei pressi dell’atrio della casa; curiosi tintinnabuli a forma fallica, utili per scacciare il malocchio!
(Scopri in questo articolo altre curiosità sulle abitazioni degli antichi Romani!)
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