Capolavoro iconico di Galleria Borghese, è certamente il ritratto di Paolina commissionato dal principe Camillo Borghese ad Antonio Canova nel 1804. Ma come è nato questo immenso capolavoro? Scopriamolo insieme!
Camillo e Paolina: una storia d’amore?
Camillo aveva sposato nel 1803 la bella e vivace sorella di Napoleone a Parigi: il Primo Console, che di lì a un anno sarebbe diventato imperatore, fu ben contento di imparentarsi con una famiglia nobile romana! Paolina, che all’epoca aveva 23 anni, seppur giovanissima era già vedova del generale Leclerc (suo primo marito), morto di una malattia tropicale a Santo Domingo dove Napoleone lo aveva spedito insieme alla moglie, ufficialmente per sedare una rivolta indigena, ma in realtà per soffocare lo scandalo provocato a Parigi dalla condotta libertina della stessa Paolina.
Camillo non ci pensò due volte a sposare la fanciulla, tanto che neanche si aspettò la conclusione dell’anno di vedovanza! La coppia si trasferì a Roma e andò a vivere a Palazzo Borghese, dove Paolina poté riprendere la vita di sfarzo e divertimenti che tanto amava, alienandosi però ben presto le simpatie dei romani poiché decise di chiudere una parte del parco della Villa sul Pincio alla fruizione dei cittadini (che invece era sempre stata a loro aperta), visto che amava passeggiarci lei stessa!
La nascita dell’opera di Canova
E per meglio celebrare la propria giovane moglie, ecco che Camillo decise di convocare l’artista più illustre del momento proprio per eseguire il suo ritratto. Canova ha espresso in quest’opera altissima una summa della propria cultura figurativa, facendone un’icona del proprio singolare neoclassicismo.
Della scultura esistono numerosi disegni preparatori e il gesso originale canoviano (conservato nella Gipsoteca di Possagno) che mostra ancora i “punti”, i riferimenti utili per il trasferimento della scultura in marmo. Sappiamo che Canova lasciava infatti questa operazione ai suoi assistenti, riservando per sé “l’ultima mano”, ovvero quella levigatura paziente, con abrasivi sempre più sottili, che portava all’effetto della “vera carne” e che si esaltava nella visione a lume di candela. Ciò che qui Canova realizzò lasciò tutti a bocca aperta.
Paolina come Venere
Paolina è rappresentata come Venere vincitrice del giudizio di Paride, come ci indica la mela che tiene nella mano, destinata “alla più bella fra le dee”. Secondo il mito infatti, Paride ebbe il compito di stabilire quale dea tra Era, Atena e Afrodite fosse la più bella, consegnando il simbolo della Vittoria alla prescelta : fu così che il giovanotto consegnò il pomo alla bella Venere, che risultò quindi “vincitrice”.
La posa della principessa, distesa su un’elegante agrippina (una sorta di chaise-longue stile Impero molto in voga all’epoca) e praticamente nuda, generò non pochi pettegolezzi: tutti si chiedevano se la principessa avesse infatti posato svestita per l’artista e si racconta che lei stessa avrebbe affermato maliziosamente: “ogni velo può cadere dinanzi al Canova”!
Si tratta tuttavia di un ritratto ideale, che rientra nel cosiddetto genere “grazioso” della produzione canoviana, in cui anche la posa rimanda al repertorio classico, alle sculture etrusche e romane sdraiate sui sarcofagi, ma anche alla tradizione pittorica veneta del Cinquecento delle Veneri di Tiziano.
Stupefacente è anche la resa del materasso che sembra affondare morbidamente sotto il peso della giovane dea. Un effetto di verosimiglianza che ha un precedente particolarmente illustre: il materasso che Gian Lorenzo Bernini aveva scolpito per l’Ermafrodito appartenuto a Scipione Borghese e che proprio negli anni in cui Paolina veniva ritratta dal Canova prendeva la via di Parigi, venduto da Camillo a Napoleone insieme ad altre centinaia di opere della grandiosa collezione archeologica di famiglia.
Canova, che si era opposto fieramente alla vendita dei marmi Borghese – purtroppo invano – è come se in questo ritratto avesse voluto restituire la sua versione neoclassica, andando a rendere il marmo di Carrara ancor più lucido stendendo, come finitura, l’acqua di rota, proprio per dare alla superficie maggior lucentezza!
L’ultima sorpresa
Ma le sorprese non finiscono qui. Canova infatti voleva stupire ancor di più i contemporanei facendo ruotare e muovere la scultura. Come? Andando ad inserire sotto all’agrippina un meccanismo (tuttora funzionante anche se purtroppo non attivo) che permetteva alla scultura di girare e mostrarsi a 360°!
L’arrivo della scultura a Galleria Borghese
In seguito alla consegna della scultura, nel 1808, il principe Camillo trasferì l’opera a Torino, dove operava come Governatore Generale dei Dipartimenti Transalpini per conto dell’impero napoleonico: per inviarla lontano da sguardi indiscreti e per gelosia? Chissà!
L’opera tuttavia tornò a Roma dopo la caduta di Napoleone rimanendo esposto nel palazzo dei Borghese in Campo Marzio fino al 1820 quando Camillo chiuse la scultura in una cassa per non intaccare i rapporti diplomatici con il papa. La scultura continuava infatti a suscitare curiosità morbosa tanto che la servitù la esponeva a pagamento! Fu nel 1838 che l’opera di Canova giunse a Galleria Borghese dove noi, ancora oggi, possiamo ammirarla in tutto il suo eterno splendore.
Controlla nel programma mensile quando è prevista la prossima visita guidata per ammirare insieme, dal vivo, questo immenso capolavoro artistico!