I quattro gruppi scultorei realizzati dal giovanissimo Gian Lorenzo Bernini, custoditi ed esposti oggi a Galleria Borghese, sono tra le opere che meglio illustrano la nascita del barocco romano in tutta la storia dell’arte. Di quali sculture parliamo: Enea, Anchise e Ascanio; il David; Apollo e Dafne e il Ratto di Proserpina. E oggi vogliamo dedicarci proprio a quest’ultima.
Sembra incredibile pensare che quando Bernini realizzò questo gruppo scultoreo, aveva solo 23 anni di età, siamo quindi all’inizio della sua carriera ed è così che l’artista si presenta al suo committente, il cardinale Scipione Borghese, che in realtà aveva già ben avuto modo di conoscere e riconoscere la straordinaria mano del giovanotto! Siamo nel 1619 e Gian Lorenzo iniziò a lavorare al gruppo scultoreo qualche mese dopo aver completato l’Enea, Anchise e Ascanio. Il cardinale, rimasto molto soddisfatto del precedente lavoro, chiese quindi al giovane scultore di dedicarsi alla realizzazione di un nuovo gruppo scultoreo, ancora con soggetto mitologico.
Il mito di Proserpina
L’opera raffigura il rapimento di Proserpina, figlia di Cerere (dea delle messi), per mano di Plutone, dio degli Inferi, che desiderava a tutti costi farla sua per sempre. Il mito, presente nelle Metamorfosi di Ovidio, racconta che mentre la fanciulla era intenta a cogliere dei fiori da un prato, il signore dell’oltretomba l’abbia rapita, portandola con sé nelle viscere della terra e lasciando così la madre, disperata, a vagare per nove giorni e nove notti alla ricerca dell’amata figlia. Dopo aver conosciuto la sorte della fanciulla, Giove, re dell’Olimpo, cercò di convincere il fratello Plutone a restituire Proserpina alla madre. Tuttavia, la fanciulla aveva già mangiato alcuni chicchi di melograno, il cibo dei morti, e per questo non poté fare definitivamente ritorno nel mondo dei vivi. Giove però riuscì a stipulare un accordo: Proserpina sarebbe tornata in vita, sulla terra, per sei mesi all’anno, mentre avrebbe dovuto trascorrere i restanti sei nell’oltretomba con Plutone, divenendone la sua sposa. Gli antichi si servivano di questo mito per spiegare l’alternarsi delle stagioni: l’arrivo di Proserpina sulla terra corrispondeva alla primavera e all’estate, mentre la sua discesa negli inferi dava origine all’autunno e all’inverno.
Cosa rappresenta il Ratto di Proserpina del Bernini?
Bernini rappresenta il momento culminante dell’azione, quello più concitato e violento, il momento del rapimento. Plutone, fiero e insensibile, possente e muscoloso, vuole trascinare Proserpina negli Inferi e l’afferra con forza. I muscoli del dio sono tesi nello sforzo di sostenere il corpo della fanciulla che, seppur minuto, cerca di scappare e di divincolarsi dalla presa stretta di Plutone, la cui mano affonda nella morbida carne della coscia della fanciulla, con le dita che esercitano la loro pressione sulla carne della giovane, tutto pur di bloccare il suo contorcersi!
E’ questo indubbiamente uno dei dettagli – giustamente – più famosi e celebrati di tutta la storia dell’arte. Lei si dimena, scalcia, con le gambe tenta di sollevarsi per trovare una via di fuga, le mani si agitano, una colpisce il volto barbuto di Ade; ma nulla può. Plutone infatti ha ai suoi piedi Cerbero, il mostruoso cane a tre teste, guardiano degli inferi. Il destino di Proserpina è dunque segnato.
Le innovazioni della scultura di Bernini
L’impianto della scultura a Galleria Borghese è spinto fino ai limiti della stabilità dalle due figure che si ritraggono l’una dall’altra pur rimanendo frontali rispetto allo spettatore. L’avvitamento della fanciulla richiama il virtuosismo ancora forse di gusto manierista, ma la potenza della scultura, la tensione dei muscoli di Plutone, la tenerezza sensuale delle carni e in generale l’intensità del sentimento esprimono tutto un nuovo linguaggio espressivo, fondato su un naturalismo evidente nella straordinaria resa materica delle superfici.
Attraverso lo studio costante della statuaria classica e il recupero degli strumenti antichi Bernini traduce nel marmo la poetica del racconto mitologico, confrontandosi con le potenzialità della stessa pittura. E Bernini inoltre concepisce un gruppo scultoreo non più da ammirare frontalmente (come era stato fatto per secoli, dagli antichi romani a Michelangelo), ma un’opera da posizionare al centro di una stanza, da osservare quindi girandoci intorno, in modo da avere davanti a sé l’intera narrazione del mito: il rapimento raccontato prima dal punto di vista del possente Plutone, poi attraverso il dolore di Proserpina (struggente la lacrima che scende sulla sua guancia) ed infine il tragico epilogo, la discesa negli Inferi.