In cima al colle più panoramico della Città Eterna, immortalato in celebri film come La Grande Bellezza, il Gianicolo offre al visitatore più curioso una distesa infinita di busti che ricordano i caduti della gloriosa – ma alquanto breve – Repubblica Romana.
E’ qui infatti che i combattimenti del 1849 tra i garibaldini e le truppe francesi chiamate dal Pio IX a ripristinare il potere temporale su Roma si fecero particolarmente cruenti. E nel punto più alto del colle, al centro di un grande piazzale, è situato infatti il monumento equestre di Giuseppe Garibaldi, opera dello scultore Emilio Gallori ed inaugurato nel 1895.
Il monumento ad Anita
Meno conosciuta – se non addirittura ignorata – l’esistenza di un altro monumento prossimo a quello di Garibaldi. In un piccolo slargo poco distante, infatti, circondato da piante di alto fusto e situato a sinistra della strada che dal piazzale scende verso il Vaticano, si trova un gruppo statuario di una donna a cavallo che stringe al petto un neonato. Si tratta del monumento equestre eretto in onore di Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, universalmente nota come Anita, rivoluzionaria brasiliana, moglie di Garibaldi e sua compagna di tante battaglie.
Qui è ritratta insieme al figlio neonato Menotti mentre cerca di sottrarsi alla cattura nell’accampamento di São Luís accerchiato dalle truppe imperiali durante la Guerra dei Farrapos. Il dado del piedistallo del monumento è inoltre ornato, sui quattro lati, da pannelli bronzei che raffigurano, in altorilievo, alcuni episodi in cui la donna fu assoluta protagonista. E’ così possibile riconoscere Anita a cavallo a capo dei garibaldini, durante la battaglia di Curitibanos (18 gennaio 1840); quando fatta prigioniera dopo la battaglia, riuscì a fuggire e a cercare il corpo di Garibaldi; o ancora Garibaldi, inseguito dagli austriaci, durante la fuga nella pineta ravennate, qui presente mentre trasporta Anita morente verso la fattoria dove poi morirà.
Anita Garibaldi
Nel 1836 Garibaldi, rivoluzionario nizzardo, era fuggito in America Latina per evitare una condanna a morte per aver partecipato ai moti carbonari ed essersi iscritto alla Giovane Italia di Mazzini, e si era unito alle insurrezioni locali. Lei, emancipata e amante della natura, del nuoto e dei cavalli, guardava con ammirazione i ribelli farroupilha che nel 1835 portarono la rivoluzione a Laguna.
L’occasione di unirsi a loro arrivò il 27 luglio 1839, quando un guerrigliero corsaro al servizio della repubblica di Santa Caterina puntò il suo cannocchiale su un gruppo di ragazze sul molo di Laguna e s’innamorò di lei a prima vista: era Giuseppe Garibaldi e il colpo di fulmine fu reciproco. I due combattenti trascorsero ancora qualche anno in Sud America fino a quando nel 1848 la coppia fu raggiunta dalle notizie delle prime rivoluzioni europee e Garibaldi decise di tornare in Europa, mandando intanto avanti Anita e i loro bambini che si stabilirono a Nizza dalla suocera.
Il 9 febbraio 1849 Garibaldi raggiunse Roma con un corpo di volontari per difenderla dall’attacco congiunto delle truppe francesi, spagnole e borboniche. In queste circostanze disperate Anita, incinta di quattro mesi, decise di lasciare i figli alle cure della suocera e di raggiungere il marito. Arrivò a Roma il 26 giugno, poco prima della capitolazione. Un generale garibaldino racconta che nel vedersi apparire di fronte la moglie Garibaldi l’avrebbe presentata con queste parole: “Questa è Anita, ora avremo un soldato in più!” Ma i combattimenti precipitarono velocemente: il 4 luglio Garibaldi insieme ai suoi e ad Anita cedettero e fuggirono da Roma; l’idea era dirigersi a Venezia, ultimo baluardo repubblicano in Italia.
La fuga fu rocambolesca e Anita era ormai preda delle febbri malariche, e tra la gravidanza e gli stenti del viaggio le sue condizioni erano gravissime. Il 4 agosto venne trasportata nella fattoria Guiccioli, in località Mandriole di Ravenna, dove poche ore dopo morì, a soli 28 anni. Il marito non poté trattenersi nemmeno per seppellirla, ma dovette riprendere immediatamente la fuga per riparare in territorio piemontese. Anita fu seppellita nel cimitero di Mandriole, dove rimase fino a quando, nel 1859, Garibaldi e i figli poterono tornare a riesumarla, scegliendo di trasferirla a Nizza, nel cimitero di famiglia. Ma neanche questa sarebbe stata la tappa finale del viaggio di Anita. Nel 1932, infatti, a seguito di una richiesta ufficiosa del Vaticano di rimuovere la statua di Garibaldi dal Gianicolo, Mussolini accettò di sostituirla con quella della moglie. Fu così che i suoi resti vennero traslati definitivamente a Roma, per essere deposti nel basamento del monumento equestre eretto in suo onore: alla cerimonia parteciparono decine di migliaia di persone, oltre alle delegazioni di molti Paesi, tra cui Brasile e Uruguay.
Colomba Antonietti
Ma il Gianicolo vuole celebrare con un busto anche un’altra eroina: Colomba Antonietti. Paragonata dallo stesso Garibaldi alla sua Anita, la giovane – altra intrepida combattente – non esitò a tagliarsi i capelli e vestirsi da soldato per affiancare il marito Luigi Porzi nella strenua difesa della Repubblica Romana. Nata a Bastia Umbra, si era già distinta per il suo valore nella battaglia di Velletri e di Palestrina contro le truppe borboniche, dimostrando intelligenza, coraggio e valore. Tornata a Roma, si impegnò nel soccorso dei feriti pur continuando a combattere, morendo però a 20 anni, nell’assedio di Porta San Pancrazio sotto il fuoco dell’artiglieria francese. Colpita in pieno da una palla di cannone il 13 giugno 1849, spirò pochi istanti dopo tra le braccia del marito, pronunciando – secondo quanto racconta la tradizione – “Viva l’Italia”. Fu sepolta dapprima nella Chiesa di San Carlo ai Catinari e poi, nel 1941, le sue spoglie mortali fecero ritorno proprio su quel colle che difese fino all’ultimo respiro poiché furono traslate al Mausoleo Ossario Garibaldino, trovando eterno riposo insieme a quelle degli altri martiri morti dal 1849 al 1870 per l’ideale di un’Italia libera ed unita.