Tra le opere più sofisticate e imponenti realizzate dagli antichi romani, gli acquedotti meritano probabilmente una particolare menzione trattandosi di veri e propri capolavori di ingegneristica! La tecnologia che la città di Roma sviluppò per la captazione, la distribuzione e il consumo di acqua trova paragoni soltanto nel nostro mondo contemporaneo.

E’ certo che già nelle città dell’antica Grecia furono costruiti sistemi impressionanti di tunnel, gallerie e cisterne per la raccolta dell’acqua, talvolta anche di dimensioni considerevoli, ma di fatto ben lontani dagli impressionanti acquedotti che i romani, grazie alle loro spiccate doti per l’ingegneria e l’architettura, disseminarono in tutto l’impero. 

Una tale profusione di strutture indispensabili che trasportano una tale quantità d’acqua, comparatele, se volete, con le futili piramidi o le inutili, anche se famose, opere dei greci” (Frontino, De Aquis)

 

Il sistema di rifornimento romano

Ma andiamo con ordine. Quando si parla di acquedotti romani, la nostra mente ha davanti a sé un’unica immagine: una serie infinita di archi monumentali. Tuttavia questi costituivano una sola parte del complesso e articolato sistema di rifornimento adottato dai romani, il cui obiettivo era captare acqua da sorgenti e bacini che potevano trovarsi anche a 50 km di distanza dalla città che dovevano rifornire.

Acquedotti_di_Roma_Planimetria_lasinodoro

Lungo questo tragitto si costruivano opere di captazione come bacini di accumulazione o torri di distribuzione (detti castella aquarum) oltre ovviamente ad un canale attraverso il quale l’acqua scorreva sfruttando la lieve pendenza (mediamente del 2%) che gli ingegneri romani facevano in modo di mantenere sempre identica dalla fonte alla destinazione finale.

 

acquedotti_costruzione_lasinodoro

 

Nei punti in cui si presentava un forte dislivello del terreno – come per esempio una valle o una depressione – si costruivano le arcate monumentali che siamo soliti associare all’immagine dell’acquedotto, ma per la maggior parte del percorso l’acqua scorreva in canali interrati o grossomodo allo stesso livello del suolo. Per risalire anche notevoli dislivelli i romani hanno sfruttato inoltre il principio dei vasi comunicanti, mandando così l’acqua “in salita” grazie al sistema del cosiddetto “sifone inverso”.

 

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Nel caso di Roma è stato calcolato che, dei 507 chilometri totali dei suoi acquedotti, 434 erano sotterranei, 15 superficiali e solo 59 (quindi il 12%) scorrevano attraverso gli archi! Per poter soddisfare il proprio fabbisogno, la città di Roma durante il corso dei secoli arrivò a costruire ben 11 acquedotti.  E fu così che a partire dal IV secolo a.C. queste incredibili opere di ingegneria civile hanno contribuito allo sviluppo e alla magnificenza di Roma.

A cosa serviva tutta questa acqua? A rifornire i palazzi imperiali certamente, ma anche le fontane, le terme, gli edifici e bagni pubblici, piscine private e i grandi edifici per spettacoli che organizzavano le naumachie! Motivo per il quale il nuovo acquedotto costruito non andò mai a sostituire il precedente, ma costituiva sempre un’aggiunta, come ben ci mostra il suggestivo Parco degli Acquedotti.

 

 

 

Gli acquedotti più antichi

Il più antico era l’Aqua Appia, costruito da Appio Claudio Cieco, inaugurato nel 312 a.C. e con un percorso di oltre 1,6 km dalla via Prenestina fino a Roma. Tra III e nel II secolo a.C. ne furono costruiti altri tre: l’Anio Vetus, costruito tra il 272 a.C. e il 269 a.C. prendendo l’acqua dall’Aniene, dal censore Manio Curio Dentato, console di origine plebea protagonista della vittoria su Pirro; l’Aqua Marcia, costruito nel 144 a.C. prende il nome dal console Quinto Marcio Re (membro della gens Marzia fondata dal re Anco Marzio), che ne curò il progetto e le cui sorgenti si trovavano sui Monti Simbruini ed infine l’Aqua Tepula, costruito nel 125 a.C. dai censori Cneo Servilio Cepione e Lucio Cassio Longino, deve il suo nome al fatto che l’acqua avesse una temperatura naturale intorno ai 17 gradi, presa direttamente dalle sorgenti dei Colli Albani.

 

Gli acquedotti di imperiali

L’impulso definitivo fu dato dall’imperatore Augusto e dal genero Marco Vipsanio Agrippa, che fecero restaurare gli acquedotti più antichi e ne costruirono di nuovi, come l’Aqua Iulia e l’Aqua Virgo, rimasto questo in uso ininterrottamente e ancora oggi in funzione. Gli imperatori Claudio e Traiano diedero i loro nomi all’Aqua Claudia e all’Aqua Traiana, quest’ultimo un acquedotto con un percorso di quasi 60 km dato che raccoglieva le acque per Roma dal Lago di Bracciano! L’ultimo degli acquedotti edificati in città fu l’Aqua Alexandrina, lungo 22 km, opera appunto di Alessandro Severo nel 226 d.C. e le cui sorgenti furono successivamente utilizzate da papa Sisto V (nato Felice Peretti) per la costruzione del suo acquedotto dell’Acqua Felice.

 

 

Costi e mantenimento

La costruzione di un acquedotto, dalla captazione al punto di distribuzione finale, era un’impresa costosissima, una spesa tuttavia che le città dovevano per forza sostenere, il cui finanziamento era al contempo pubblico e privato. I romani furono inoltre sempre consapevoli della necessità di mantenere in ottimo stato il sistema di rifornimento idrico. Un numeroso gruppo di lavoratori specializzati – o aquarii – controllava regolarmente il buon funzionamento e la pulizia degli acquedotti: questi tecnici erano infatti a capo di un servizio di riparazioni e di pulizia sistematica anche dei canali per evitare ostruzioni e il peggioramento della qualità dell’acqua. Per questo motivo, il canale in cui scorreva l’acqua era sempre coperto e venivano regolarmente installate delle vasche chiamate piscinae limariae per la decantazione, ossia la separazione dell’acqua dalle impurità.

 

Il taglio degli acquedotti

E ironia della sorte proprio gli acquedotti, dopo tanto aver contribuito alla grandezza di Roma, sono legati alla sua decadenza e alla sua stessa caduta per mano dei popoli barbari: più volte danneggiati durante i tentativi di incursione, furono i Goti di Vitige che ne interruppero deliberatamente il flusso durante l’assedio del 537 d.C. L’area teatro di questo triste capitolo della storia romana, conosciuta appunto come “campo barbarico” si trova nel Parco di Tor Fiscale, contiguo al Parco degli Acquedotti.

 

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